San Precario a Cosenza


Lo scorso luglio, all’interno del palazzo occupato Cosentini, nel Centro Storico della Citta’, si sono tenute le riunioni che hanno portato alla costituzione dello uno sportello sulla precatieta’ a Cosenza.

Di seguito il documento.

LA COSENZA “PEGGIORE”…
E SE ASSUMESSE COSCIENZA DI SE’ E DELLA PROPRIA FORZA?

La crisi industriale e finanziaria esplosa nel 2007 è l’ultima manifestazione della crisi strutturale del modello capitalistico. Strumentalmente presentata come il prodotto di un eccessiva tendenza alla finanziarizzazione dell’economia che ha contagiato l’economia reale (quasi a voler operare una distinzione tra un capitalismo corrotto e mal funzionante proprio di finanzieri arrivisti, che speculano in borsa i risparmi dei consumatori, da un capitalismo ordinato e dal volto umano che si limita “solo” a far profitti sul sudore e sullo sfruttamento della forza lavoro), quella che negli ultimi anni stiamo vivendo è in realtà solo la più recente evidenza di una difficoltà di valorizzazione del capitale che si protrae ormai da oltre 40 anni.

I processi creditizi e di speculazione finanziaria che hanno caratterizzato l’agire capitalistico negli ultimi decenni sono stati un temporaneo tampone all’incapacità di valorizzare il capitale scavalcando l’atto produttivo. Ma si sa bene che il credito non è sinonimo di ricchezza ma di debito ed è così che, saltata la congiuntura favorevole e scardinato il giocattolino, gli stati nazionali, fino a ieri relegati in una condizione di impossibilità d’intervento negli equilibri di un mercato che si regola da sé, si trovano oggi a intervenire per salvare dal default banche e lobby economiche responsabili del crac.
Il piano di rientro messo in campo dai governi dei banchieri e dei padroni, su pressione della BCE e del FMI per far fronte alla crisi è sempre lo stesso: “contenere le spese, razionalizzare i costi per re-incentivare la competitività”. Le masse popolari ed i settori del mondo del lavoro sanno bene che dietro tali dichiarazioni si celano nella realtà ulteriori sacrifici alle loro già insostenibili condizioni di vita.
Nella pratica gli interventi in atto si traducono in politiche di socializzazione delle perdite dopo anni di accrescimenti di guadagni privati, contenimento delle spese pubbliche, smantellamento dello stato sociale, riduzione dei costi del lavoro, deregolamentazione dei diritti sindacali.
Un aumento generalizzato della precarietà che diventa condizione ineliminabile della vita negando ogni possibilità di prefigurarsi un futuro.

L’ “accordo schifezza” su contratti e rappresentanza firmato qualche giorno fa dai vertici CGIL-CISL-UIL con la Confindustria è veramente “epocale”, costituisce la base fondamentale del nuovo “patto sociale” e rappresenta una straordinaria e profonda regressione culturale e politica. Scarica in pieno i costi della crisi sul lavoro, togliendo di mezzo i vincoli oggi esistenti a partire dai contratti nazionali, ed annulla ogni forma di partecipazione diretta dei lavoratori.
Inoltre cozza fortemente con la richiesta di democrazia sostanziale, di partecipazione reale, di potere effettivo esercitato dal basso, che è emersa con evidenza e determinazione nella campagna e nel voto per i quesiti referendari, che hanno manifestato l’opposizione a politiche ferocemente neoliberiste e privatistiche e la convinta difesa del carattere pubblico e non mercificabile dei beni fondamentali.

Non a caso a questo accordo plaudono soddisfatti governo ed imprese, finanza e forze del centrodestra come gran parte delle forze del centrosinistra (con il vergognoso silenzio di chi non si esprime, forse perché, a differenza del solito, dovrebbe necessariamente entrare nel merito non potendo contemporaneamente affermare tutto ed il contrario di tutto). E fa il paio sia con una manovra economica che colpisce esclusivamente mondo del lavoro e classi popolari prevedendo tagli ai redditi da salario e pensione ed alle spese sociali, liberalizzazioni e vendite di beni e servizi, ed escludendo tassazioni sui patrimoni e le rendite finanziarie ed attacco vero all’evasione fiscale. Sia con le modalità ricattatorie dell’amministratore delegato FIAT che ha imposto con l’arma della minaccia della perdita del posto di lavoro i diktat padronali a Pomigliano, Mirafiori, e per ultimo a Grugliasco.

Crisi economica, dei sistemi di produzione e la conseguente crisi del lavoro salariato, sono il quadro all’interno del quale bisogna necessariamente riaprire spazi politici di riappropriazione del reddito, diretto e indiretto, e dei diritti. Questo in un momento storico in cui alle richieste di diritti, di tutela della salute e difesa dei territori dall’aggressione selvaggia del cemento delle grandi opere, i governi rispondono con repressione e criminalizzazione di intere popolazioni (Val di Susa, Terzigno, ecc.). Quanto sta avvenendo in questi giorni rispetto alla TAV ed al movimento popolare e di massa che si oppone alla devastante operazione è emblematico ed è rivelatore di come i poteri forti vogliono gestire la questione, in collaborazione con le finte opposizioni.
Le misure che hanno segnato l’attuale fase della globalizzazione/mondializzazione capitalista hanno determinato degli squilibri sia nei tradizionali poli occidentali sia nelle aree di nuova influenza capitalista.
Esternalizzazioni, delocalizzazioni, ridimensionamento, deregolamentazione dei diritti sindacali, cassa integrazioni, licenziamenti e introduzione di nuove forme di sfruttamento attraverso forme di lavoro precari e saltuari tracciano il dizionario della precarietà. Privatizzazione di beni e servizi e attacco al welfare sono le mosse attraverso le quali i governi dell’austerità credono di illuderci che argineranno la crisi mentre, in realtà, sanno bene che vanno a decretare la precarietà esistenziale di milioni di uomini e donne cancellando qualsiasi prospettiva di futuro.
Basta pensare che oggi in Italia i dipendenti a tempo indeterminato sono poco più di 10 milioni a fronte di 40 milioni di persone disponibili al lavoro di cui oltre 25 milioni tra precari, disoccupati, cassaintegrati. Pertanto non si possono più affrontare le problematiche legate al lavoro e all’universo precario rimanendo ancorati solo agli schemi del sindacalismo tradizionale. Pertanto, essendo oggi la precarietà il nuovo paradigma su cui si basa il rapporto capitale-lavoro salariato è necessario intervenire con azioni e misure che vadano anche al di la dei canoni classici di contrattazione.

Per tutto ciò, riteniamo che a fronte dell’espropriazione dei diritti sociali, è necessario costruire percorsi di riappropriazione dal basso dei bisogni negati. Tra questi il bisogno casa si inserisce in un percorso più ampio che mira alla riappropriazione del reddito al di fuori e al di là dei rapporti di lavoro. Questo, essendo un elemento cardine della contraddizione capitale-lavoro, è il punto di vista da cui partire per riaprire percorsi di riappropriazione di tempi, spazi e bisogni. Per questo a Cosenza, in questo momento, si è ritenuto avesse una centralità la lotta per il diritto abitativo, che ha portato negli ultimi mesi all’occupazione di due edifici insieme a 11 famiglie. La necessità che anche su questo tema si concentri il massimo dell’attenzione di una Sinistra che vuole cambiare le cose è ben motivata dalle analisi del prof. Alberto Ziparo, che afferma che ci sono “nella sola Cosenza oltre 8000 vani vuoti censiti, cui va aggiunto almeno un 20% di non rilevato. E’ verosimile pensare che per l’area metropolitana cosentina si va verso i 45 milioni di metri cubi con un patrimonio più che doppio rispetto al top di domanda possibile”.

 L’Italia peggiore.

Questa l’etichetta utilizzata dal ministro Brunetta per giudicare quei milioni di lavoratori che quotidianamente vivono il dramma di un’occupazione saltuaria, instabile, precaria.
La condizione di chi non rappresentato e indifeso è costretto a sottostare ad ogni tipo di pressione e diktat da parte dei vari capi e padroni di turno per potersi garantire quegli elementari diritti oggi negati da politiche neoliberiste di attacco allo stato sociale.

In una realtà come quella meridionale, dove la ‘ndrangheta S.P.A. (a partecipazione statale) fattura ogni anno circa il 4% del PIL nazionale; dove clientelismi e favoritismi sono la norma nelle relazioni politiche con una classe dirigente corrotta e collusa con settori di criminalità organizzata, dove caporalati non sono riproposizioni storiografiche e cinematografiche ma la dura realtà che colpisce migliaia di lavoratori prevalentemente migranti costretti a vendersi per meno di 2 euro all’ora, dove il territorio è fonte di saccheggio e devastazione e la sua popolazione bacino di forza lavoro sfruttata e sottopagata, lo stato di precarietà è ancora più accentuato e amplificato e condiziona ogni ambito della vita.
Cifre alle mani: la disoccupazione viaggia a livelli record con tassi di oltre il 30% arrivando a sfiorare il 40% tra le giovani generazioni; l’emigrazione da lavoro è ancora l’unica via d’uscita per migliaia di lavoratori; il lavoro nei call-center l’unica forma di accesso al reddito per centinaia di ragazzi per mantenersi agli studi e spazio di riciclo per i soggetti espulsi dal ciclo produttivo.

La grave recessione economica sta devastando la nostra Regione e la provincia di Cosenza.
Gli effetti sull’economia, e quindi sulla società, del nostro territorio sono pesanti e gravi.
Il livello delle attività ha subito una contrazione accentuata, l’occupazione si è ridotta in tutti i settori, è aumentata la disoccupazione ed il sommerso.
Elevata è la precarietà del lavoro associata ad un sistema informale di ricerca dello stesso, la qual cosa alimenta un’indebita intermediazione politica ed è fonte del proliferare di pratiche clientelari e corruttrici della coscienza dei lavoratori, della tenuta della democrazia e dello stesso spirito pubblico.
Si è anche meno coperti, proprio per l’estensione del lavoro non regolare, dagli ammortizzatori sociali: chi è in nero non può certo godere della cassa integrazione in caso di licenziamento!
Si stima che in Calabria oltre il 25% delle famiglie sia al di sotto della soglia di povertà!
Nel nostro territorio, la precarietà tocca direttamente un elevato numero di lavoratrici e lavoratori in diversi settori.
Dalle cooperative sociali di tipo B, circa 500 persone per una spesa annua a carico del Comune di Cosenza di circa 5 milioni di euro, con violazioni palesi dei diritti compiute quotidianamente dai cosiddetti “presidenti”, ad altre forme di attività lavorativa solo formalmente non alle dirette dipendenze dell’Amministrazione Comunale, dal lavoro presso i call-center e presso la gran parte delle attività commerciali e professionali, sottopagato e clientelare, agli LSU/LPU ancora impiegati come tali e non stabilizzati in numerosi enti pubblici della cintura intorno al capoluogo, ai precari delle pubbliche amministrazioni fino a quella fucina di precariato della conoscenza che è l’Università della Calabria.
Per non parlare delle condizioni di precarietà estrema, fino alla totale irregolarità ed alla negazione di ogni necessaria condizione di sicurezza, che si vive nella gran parte dei cantieri edili del territorio.

 Organizziamo la rabbia precaria

La scelta di costruire il Punto san Precario a Cosenza nasce dall’esigenza di creare strumenti contro la precarietà che viviamo sulla nostra pelle. Uno strumento, quindi, che parte dalla nostra condizione esistenziale fino a manifestarsi in tutte quelle forme di precarietà che attraversano il nostro territorio. I PSP vogliono diventare il megafono della precarietà, uno strumento di controinformazione e di azione contro i ricatti imposti nella giungla del capitalismo. Uno spazio pubblico di presa di parola diretta dei precari in una città dove il lavoro sommerso e a nero la fanno da padroni, dove le cooperative, gli lsu e lpu vivono in una continua ricattabilità economica, in una provincia dove anche il lavoro nei call center è gestito dal clientelismo politico, per non parlare della galassia della disoccupazione che attanaglia la città. In questo contesto i PSP aspirano a diventare un punto di riferimento dove trovare consulenza legale e sindacale, uno strumento per aprire percorsi che vadano verso l’organizzazione della rabbia precaria.

Un punto che affronti in questa città il tema della precarietà a 360 gradi, andando a scoperchiare il pentolone del clientelismo imperante. Gli attivisti del PSP daranno il proprio contributo dal basso per affrontare la sfida del futuro (precario).
Co-ricerca e inchiesta i mezzi attraverso i quali analizzare i mille rivoli della precarietà, supporto tecnico e legale il sostegno per non essere incalzati dai soprusi e dalle violenze dei padroni e padroncini, intervento diretto in difesa dei nostri diritti.
È tempo di aggredire la precarietà. Di prendere coscienza della nostra condizione e soprattutto della nostra forza. Non siamo gli sfigati isolati sui quali è ricaduta la sventura un occupazione anomala. La nostra condizione è la stessa di altri milioni di persone.
È ora di intervenire in maniera mirata sulla questione della precarietà, aggredendo il problema, organizzando le nostre esperienze, le nostre forze, la nostra rabbia. Frustrazioni, isolamento devono lasciare il campo all’organizzazione e alla lotta.

 Campagna per il diritto all’insolvenza

Di fronte una contrazione costante dei redditi da lavoro aumenta in termini inversamente proporzionale la tendenza al debito da parte delle famiglie. Acqua, luce, gas, benzina, affitti, aumentano in maniera spropositata. L’introduzione di nuove forme di tassazione o l’aumento di quelle già vigenti segnano il passo dei governi dell’austerità per arginare la crisi che avanza nella sua brutalità.

Mentre i nostri datori di lavoro (pubblici e privati) si permettono il lusso di ritardare i pagamenti di salari e stipendi, di ridurre le retribuzioni e nei casi peggiori di licenziare e lasciare in mezzo ad una strada i lavoratori, i nostri detrattori non si impietosiscono ma stringono in maniera più feroce il cappio intorno alle nostre vite precarie.
I tassi di interesse operati dai banchieri (moderni strozzini) arrivano a somigliare a vere e proprie forme di usura che manda sul lastrico migliaia di persone che nella maggior parte dei casi si vedono pignorati automobili, case, terreni, il prodotto del proprio sudore e della propria fatica.
Ci domandiamo come sia possibile che un’azienda che fa profitti sullo sfruttamento dei lavoratori, possa ottenere agevolazioni, detassazioni e finanziamenti statali, mentre i lavoratori, i disoccupati, i precari nel momento in cui non riescono a pagare la rata di un mutuo o arrivano tardi a saldare la bolletta del gas o dell’enel si vedono recapitare puntualmente ingiunzioni di pagamento e/o pignoramenti dei propri beni.
Lanciamo una campagna di mobilitazione contro EQUITALIA E.TR. responsabile della riscossione delle imposte e dei mancati pagamenti nonché braccio armato del governo per il pignoramento dei beni, fonte di impoverimento e oppressione delle nostre vite precarie.

Una moratoria sui debiti, perché se la crisi pesa sulle tasche dei padroni che “poverini” piangono miseria e invocano agevolazioni e interventi a loro favore, figuriamoci per chi a fronte a salari da fame non riesce ad arrivare alla terza settimana.
Diritto all’insolvenza per liberarci dal cappio della ricattabilità e precarietà permanente.

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